Supply chain e Coronavirus

In Cina c’è una forte concentrazione di produttori di ricambi per il settore automotive: sia per quanto riguarda la componentistica di primo impianto sia…

In Cina c’è una forte concentrazione di produttori di ricambi per il settore automotive: sia per quanto riguarda la componentistica di primo impianto sia per quanto riguarda i private label dei distributori. E questo provocherà a breve conseguenze importanti sulla disponibilità dei prodotti.

Il problema globale sulle catene di fornitura è connesso con il fatto che l’epidemia di Coronavirus sia esplosa a Wuhan, nella provincia di Hubei: un importante hub industriale e di trasporto delle merci nella Cina centrale. Si sono verificati velocemente importanti ritardi nelle spedizioni di merci e un pesante impatto sulla produzione industriale in tutta la Cina, in svariati settori.

Ne risente innanzitutto l’economia cinese, oggi molto sotto alla sua capacità produttiva: i dati ufficiali aggiornati al 3 marzo mostrano un indice della produzione manifatturiera sceso a 27,8 punti a febbraio, dai 51,3 di gennaio: il livello più basso da quando è iniziata l’indagine, nell’aprile 2004. Restrizioni sulle spedizioni e annullamenti degli ordini hanno fatto crollare l’export cinese.

Nonostante a inizio marzo, dopo le festività del Capodanno cinese, il 95,9 % dei lavoratori emigranti sia ufficialmente rientrato nelle località di lavoro, la produzione è diminuita più del previsto, poiché le aziende, a causa dell’epidemia, hanno esteso la chiusura per le vacanze. E quando hanno riaperto, si sono ritrovate con ordini cancellati o non rinnovati. È evidente che la riapertura delle aziende non è bastata a ridare ossigeno all’economia, dal momento che il trasporto pubblico urbano ha ripreso solo al 47,8 % e il consumo di carbone del settore produttivo è al 62,8 % del suo livello rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Un impatto che ora, come sappiamo, si sta estendendo in maniera drammatica anche ad altri Paesi, come la Corea del Sud e purtroppo anche l’Italia.

Il peso della Cina

La Cina oggi è un importante fornitore di beni intermedi in molti settori: per esempio, nei prodotti elettronici, televisori, telefonia, computer, mobili e arredo, realizza l’assemblaggio di merci di consumo destinate anche all’esportazione. Inoltre, rappresenta oltre la metà della produzione globale di monitor per televisori e computer: nella sola Wuhan, hanno sede cinque fabbriche che producono schermi LCD e Oled. E ancora, in Cina si produce la gran parte dei principi attivi necessari per realizzare un’ampia tipologia di farmaci: quindi il mondo rischia di dovere affrontare anche un’eventuale carenza di medicinali. La Cina – che è anche il maggiore acquirente di materie prime al mondo, con oltre 500 miliardi di dollari di importazioni nel 2018 e oltre 300 nel 2019 – attualmente ha interrotto ogni attività di costruzione e grande sarà quindi anche il contraccolpo sugli esportatori di materie prime. Quello cinese è anche un grande mercato al consumo: nel 2018 la spesa per i soli beni di lusso è stata di 115 miliardi di dollari.

La Cina dell’automotive

Ma i settori più esposti sono quelli del manifatturiero, nei quali la Cina ha un peso importante come fornitore, come mercato e come luogo dove si trovano parti importanti delle filiere: prima tra tutte, quella dell’automotive.  La Cina è il più grande mercato automobilistico del mondo, sia come produzione sia come consumo. Proprio Wuhan, la città al centro dell’epidemia, con circa il 10% della capacità di produzione automobilistica del Paese è sede di uno dei principali poli di impianti automobilistici: qui si trovano General Motors, Honda, Nissan, Peugeot Group e Renault e le cinesi Changan e Dongfeng. Gli impatti sull’industria automobilistica si sentono oltre i confini della Cina: la carenza di forniture blocca la produzione in tutto il mondo. General Motors ha anticipato che le interruzioni della produzione potrebbero colpire gli impianti in Michigan e Texas. Jaguar Land Rover ha avvertito che il virus potrebbe creare problemi nei propri impianti di assemblaggio in Gran Bretagna.

L’epidemia sta mostrando al mondo quanto fragile sia un modello di globalizzazione fondato su una dipendenza elevatissima da un solo Paese come fornitore per molti settori. Ridurre l’interdipendenza economica tra la Cina e il resto del mondo è un processo ormai avviato e destinato a crescere, per due grandi motivi: il primo è che la Cina stessa vuole ridimensionare la propria dipendenza tecnologica dai Paesi più avanzati; il secondo è che l’inshoring di attività manifatturiere sta accelerando. L’epidemia spingerà imprese di diversa dimensione a riorganizzare le proprie catene di fornitura e – terminato il rischio di contagio – non si tornerà certo indietro.

Altri fattori di rischio per la logistica

Teniamo conto che il Coronavirus è solo uno dei tanti fattori di rischio (in crescita) che possono impattare le supply chain a livello mondiale. Ma ce ne sono molti altri: la Brexit, la guerra dei dazi Usa-Cina, i disastri ambientali e naturali sempre più frequenti, i cyber attacchi a computer e reti informatiche, i cambiamenti di leggi e normative, la volatilità della domanda, l’evoluzione continua delle esigenze dei consumatori, gli obiettivi di riduzione del CO2 e di sostenibilità ambientale. Le catene di fornitura, le supply chain, sono sempre più complesse, si basano su multitecnologie, sono interconnesse a livello globale e in quanto impattate sempre più spesso da eventi e fattori di rischio e volatilità sia a livello globale che locale, sono costituzionalmente sempre più fragili e attaccabili.

La sfida: garantire continuità

In questo contesto, per garantire la necessaria business continuity e quindi la sostenibilità dell’attività operativa, la risposta delle aziende deve essere indirizzata a più attività e obiettivi.

Innanzitutto, occorre costituire una supply chain agile, con capacità di reagire rapidamente agli eventi e cambiamenti esterni, tramite scelte in termini di progettazione del prodotto, di scelta dei fornitori, di definizioni della capacità produttiva e distributiva, di focus su margini e prezzo, di politica di inventory. Tutti questi aspetti devono essere improntati a reattività e flessibilità.

È importante poi costituire, ancora più saldamente, una “triple A supply chain” capace di essere contemporaneamente agile, adattabile e allineata con tutti i partner della filiera, in termini di obiettivi da raggiungere e perseguire.

È opportuno realizzare sistemi di supply chain collaboration e sharing di informazione (ordini cliente, operations interne, condivisione delle capacità produttive, distributive, stock, ordini fornitore) con tutti gli attori della supply chain condivisa (supply network).

Bisogna utilizzare concetti di postponement, cioè basati sulla capacità di spostare il prodotto alla locazione di vendita all’ultimo momento, tenendo indietro lo stock nella catena (place postponement) o di assemblarlo all’ultimo momento, stoccandolo per componenti standard (form postponement) in modo da ottimizzare servizio al cliente finale in un mercato ad alta variabilità.

Occorre progettare e realizzare piattaforme digitali di controllo della supply chain (supply chain control tower) basate su piattaforma applicativa fondata sulle nuove tecnologie (Big Data, Cloud, Internet of Things, Machine Learning) con centri di condivisione dei servizi guidati da team di esperti di supply chain e professionisti del dato. Questi devono essere capaci di svolgere più compiti:

  • raccogliere dati in tempo reale da tutti i nodi della supply chain estesa
  • gestire grandi moli di dati
  • avere piena visibilità sulla filiera
  • essere dotati di una dashboard di controllo
  • analizzare i dati raccolti attraverso applicazione di algoritmi e programmi di analisi avanzati di tipo reattivo (per esempio sistemi di allarme di fronte a situazioni criticità), predittivo e prescrittivo
  • simulare e valutare scenari alternativi, compresi scenari per gestire eventi di rischio
  • supportare le decisioni sulla base dei dati raccolti e degli scenari elaborati sia nel breve sia nel medio periodo (per esempio modifica dei piani e scheduling di produzione riallocazione di attività produttive da un impianto all’altro, creazione di stock aggiuntivi con funzioni di buffer, introduzione di fornitori alternativi).

Questo approccio va progettato per essere distribuito su più locazioni, con team di esperti che abbiano accesso agli stessi dati e abbiano la possibilità di lavorare (come in questo periodo si continua a sentire) anche in modalità smart working.

Si tratta di progetti strategici, in particolare per imprese con fornitori in diversi Paesi, dove diventa sempre più centrale il ruolo delle piattaforme di controllo: aumentare la reattività e la resilienza della supply chain.  La realizzazione richiede nuove capacità e nuovi processi a livello non solo di singola azienda ma di rete di aziende con impatti sull’organizzazione e la necessità di nuove e specifiche competenze.

Supply Chain Risk Management 

La crisi innescata dal Coronavirus, affrontata dal punto di vista del business, deve diventare un’occasione per le aziende per ripensare il proprio modello di supply chain e sviluppare una cultura e una capacità di supply chain risk management in grado di identificare, classificare e gestire i principali rischi, basata su analitiche avanzate e pianificazioni di scenario. Gli eventi di rischio saranno valutati in base all’ampiezza del loro impatto sul business e alla possibilità di anticipare e prevedere l’evento stesso. Per ogni evento, dovrà essere previsto un possibile approccio per minimizzarne l’impatto (p.e. aumentando o riducendo la quota di fornitori locali). È inoltre necessario che sia attivato un processo di monitoraggio continuativo dei possibili eventi di rischio. In questo modo è possibile spostare le attività di Risk Management dal mondo della compliance a quello del business e trarne reale valore competitivo.

Va esteso l’utilizzo dello smart working anche come misura cautelativa in casi di necessità e bisogna ripensare a logiche di reverse logistics e riallocazione, per ottimizzare il servizio globale ripensando al footprint industriale, cioè valutando l’ipotesi di spostare e/o ridondare anche in Occidente alcune delle produzioni attualmente svolte solo in Cina.

La supply chain della distribuzione nel mercato aftermarket

Emergono quindi alcuni importanti concetti applicabili nelle strutture che si occupano di commercializzazione di parti di ricambio aftermarket:

  • Scelta di fornitori e partner in grado di dare risposte veloci e reattive ai cambiamenti di mercato, focalizzati sul servizio invece che sul prezzo, allineati sui target da raggiungere con presenza nel network anche di fornitori più vicini. Fornitori quindi con Lead-time brevi ad alta frequenza di distribuzione, piattaforme vicine al mercato di sbocco, capaci di integrarsi in termini informativi con i clienti e collaborare nella gestione (TecCom, Tecmi, VMI, Stock Consignment, piattaforme e-business collaborative…).
  • Centralizzazione delle scorte critiche e modalità di gestione delle riallocazioni di stock lungo la filiera. Le società con supply chain distributive a più livelli e su più Paesi dovranno per i componenti critici centralizzare i loro stock, per poter distribuire all’ultimo momento dove si verifica la domanda senza la creazione di stock inutilizzato lungo la filiera interna, ed essere capaci di riallocare in maniera dinamica lo stock esistente dove più è utile. Altri dovranno sviluppare alleanze e integrazioni con clienti fornitori e competitors di pari livello presenti su aree differenti, per realizzare flussi di riallocazione tra componenti diversi della supply chain distributiva. Per esempio, quando manca materiale, può essere utile favorire dei flussi gestiti di reverse logistics per riallocare i materiali dove vendibili (dividendo opportunamente i benefici tra partner).
  • Ricerca della collaborazione con fornitori clienti e possibili partner dello stesso livello. Utile essere integrati a monte con i fornitori, per avere visibilità degli stock e delle capacità produttive disponibili dei fornitori e dare visibilità dei propri stock e vendite per prodotto ai propri fornitori. Questo consente un Replenishment veloce e reattivo, non basato su logiche speculative che favoriscono il non utilizzo ottimale della capacità produttiva e quindi mancate vendite più elevate e che creano lungo la filiera sacche di stock non utili e non sincronizzate con le vendite. È altresì utile essere integrati a valle, per conoscere in tempo reale l’andamento delle vendite finale, riorientando i propri acquisti e stock in maniera dinamica per servire nel modo migliore il mercato.

di Walter Coletta

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a cura di Redazione